Felice chi è diverso - Gianni Amelio (2014) - documentario
Ho finalmente visto il documentario di Gianni Amelio, Felice chi è diverso (il titolo è preso a prestito da una bella poesia di Sandro Penna). Ora, voglio cominciare a dire che cosa non è. Non è un documentario militante, come si aspettavano molti di quelli che lo hanno definito ‘anacronistico’: secondo me non è anacronistico, se mai storico. E qui abbiamo il secondo problema. È un documentario che non indica le fonti (mai è indicato chi siano gli intervistati e se non si è addentro alla cultura LGBT o al cinema, non è sempre facile capire chi sta parlando), spesso non contestualizza in maniera chiara il periodo ai quali ci si riferisce (ci sono vari salti temporali).
Quello che è, invece, è il racconto di un paio
di generazioni di uomini gay (le donne sono pochissimo rappresentate, eccetto
il triste racconto di una MtF e una donna lesbica che appare fugacemente come
moglie di un uomo gay, ma non dice una parola), che hanno vissuto la propria
omosessualità quasi tutti prima dell’avvento del movimento di liberazione
omosessuale in Italia, con l’unica eccezione del ragazzo bresciano che chiude
questa carrellata.
Devo dire che non mi aspettavo un documentario
militante e neppure sociologico, ma come racconto di un certo modo di vivere
l’omosessualità in un determinato contesto (e da parte di un regista che ha
vissuto la sua sessualità in modo nascosto fino a tempi molto recenti e
travagliata –da cattolico praticante) offre una buona introduzione.
Si va dalle contraddizioni del Fascismo, dove
di omosessualità ovviamente non si parlava, ma al contempo si esaltava un’ “ultra-virilità”
che ha molto in comune con l’immaginario gay più superficiale, al racconto
delle sottoculture omosessuali venato di nostalgia (bella testimonianza di un
omosessuale napoletano, che parla di un’omologazione della cultura gay –punto
di vista, a mio avviso, di chi non frequenta più certi ambienti: le
sottoculture all’interno del mondo gay esistono ancora e sono ben vive).
Ho trovato molto interessante l’intervista a
un ex militante della Democrazia Cristiana, che parla per accenni del caso
Sullo, ministro dell’ala sinistra della DC fatto dimettere grazie a uno
scandalo che aveva al centro la propria omosessualità. Più interessante è la
considerazione sulla doppiezza tutta italiana con cui era trattata
l’omosessualità negli ambienti borghesi, il famoso si fa, ma non si dice. Con
molta onestà, l’intervistato sostiene che se un omosessuale non si esponeva,
poteva tranquillamente vivere la proprio sessualità in clandestinità ma con
gioia, i problemi sorgevano solo quando questa non veniva nascosta, cosa che ha
ritardato e indebolito la nascita del movimento omosessuale in Italia, in
contrasto ad altri paesi (come il Regno Unito o gli Stati Uniti) dove la
legislazione apertamente anti-omosessuale ha favorito lo sviluppo di movimenti
LGBT più forti e incisivi. È un’analisi con cui mi trovo sostanzialmente
d’accordo, aggiungendo che in Italia la sinistra marxista (il PCI come le ali
extra-parlamentari) si contraddistingueva per essere moralista come e forse più
della DC.
A dimostrazione di quest’atteggiamento, Amelio passa in rassegna, attraverso la testimonianza di Davoli (quasi un
coming-out), l’omofobia rivolta contro Pasolini; vengono citati, tramite
spezzoni di cinegiornali e titoli di quotidiani varie vicende fino all’omicidio
(tutto materiale già raccolto nel bel volume di Franco Grattarola Una Vita Violentata). Mi ha stupito che Amelio abbia dimenticato un altro caso emblematico, quello del recentemente
scomparso Aldo Braibanti, omesso forse perché meno noto al grande pubblico e
omesso i vari casi di accertati omicidi per omofobia (per chi fosse interessato
il volume Omocidi di Andrea Pini è
molto completo). L’inserzione di materiale informativo sugli ‘invertiti’, sia
in forma di pubblicazioni che di documentari d’archivio, è molto interessante e
ben introduce nel clima in cui l’omosessualità era vissuta e sulla percezione
che la società ne aveva (guardare al passato spiega come si arrivi all’oggi).
Non mancano le storie a lieto fine. in
particolare mi ha colpito quella di una coppia che vive insieme da anni,
interessante come uno dei due uomini racconti che la maggior preoccupazione
della famiglia (di classe borghese) fosse il dare scandalo e quindi la scelta
di una convivenza e la rinuncia alla promiscuità riuscisse a un po’ a
tranquillizzare. C’è poi il racconto comico e roboante di Paolo Poli, che parla
di una sessualità accettata da se stesso e dalla propria famiglia e di una vita
vissuta sempre con spensieratezza e ironia.
Come ho già detto, ho trovato forzata la
chiusa sul presente, anche perché, a parte brevi accenni, dei cambiamenti
avvenuti prima con la nascita del FUORI! e la pubblicazione di Elementi dicritica omosessuale di Mario Mieli e poi con l’epidemia di AIDS c’è poco
raccordo: il regista non sembra molto interessato a raccontare l’oggi degli
omosessuali italiani e ridurre due o tre generazioni a una sola testimonianza è
davvero poco significativo.
Tenendo in mente i limiti, credo sia comunque
un documentario da vedere, magari come introduzione al tema storico
dell’omosessualità e dell’omofobia in Italia nel Novecento, prima di passare a
opere più dettagliate, come Quando eravamo froci del già citato Andrea Pini.
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