giovedì 3 aprile 2014

Giornata mondiale dell'Autismo

Con un giorno di ritardo (meglio tardi che mai) diamo voce alla giornata mondiale dell'autismo.
Vogliamo farlo riportando le parole di Marina Viola dal blog dell'amica Barbara Garlaschelli.


A una seduta di terapia di gruppo di qualche anno fa, mi fecero una domanda che mi prese in contropiede per la sua semplicità: Cosa vuol dire avere un figlio autistico? Presi l’opportunità di rispondere compilando una lista sicuramente incompleta. La condivido nella speranza che anche voi, come abbiamo fatto io e Dan, apriate la mente e il cuore. Non fate quelli che piagnucolano che poi mi dicono che sono troppo malinconica.
Eccola:

Avere un figlio autistico vuol dire non vergognarsi di cantare le canzoni di Sergio Endrigo a voce alta trecento volte mentre si passeggia nel bel centro di Manhattan, di Boston, o di Milano.

Avere un figlio autistico vuol dire svegliarsi la notte, con l’alito che fa schifo, e mettersi sotto le coperte di un letto singolo con un diciassettenne che vuole un po’ di coccole

Avere un figlio autistico vuol dire non battere ciglio quando le altre mamme ti chiedono dove va tuo figlio a scuola e tu dici in una scuola per ragazzi gravemente handicappati

Avere un figlio autistico vuol dire scusarsi con quelli seduti di fianco te al ristorante, dopo che Luca ruba l’ennesima patatina dal loro piatto
Avere un figlio autistico vuol dire essere tra le famiglie, una su quarantotto, ad avere un figlio autistico

Avere un figlio autistico vuol dire avere la pazienza di sedersi per terra con lui nel mezzo di un grande magazzino, mentre lui, coricato, non ha nessuna intenzione di alzarsi fino a quando non gli compri l’ennesima copia del CD che non può comunque ascoltare perché non ha il lettore. E avere la soddisfazione di rispondere male a chi osa dire qualcosa

Avere un figlio autistico vuol dire fare le bistecche impanate o la pasta al pomodoro e basta

Avere un figlio autistico vuol dire accettare che il presente e il futuro sono ben diversi da quello che ti immaginavi quando in bagno avevi pisciato sul test di gravidanza ed erano venute fuori due lineette blu

Avere un figlio autistico vuol dire scoprire un modo completamente diverso di comunicare, e un modo completamente diverso di utilizzare quella macchina stranissima che è il cervello

Avere un figlio autistico è dover spiegare perché quando Luca entra in casa d’altri non saluta: non è perché è maleducato, è solo che vuole andare a vedere dove sono i tuoi cd, e se ne hai uno di James Taylor, è suo

Avere un figlio autistico vuol dire imparare a non fare confronti tra lui e le sue sorelle, che a un anno emmezzo parlavano, a quattro imparavano a scrivere le prime letterine e ti raccontano i loro sogni e se le convinci, i loro segreti

Avere un figlio autistico vuol dire accettare che, quando hai degli ospiti, c’è una buona possibilità che Luca si presenti in sala nudo, o al limite con una calza, perché vuole farti ascoltare per la trentamilionesima volta un pezzo di una canzone

Avere un figlio autistico vuol dire andare alle riunioni di scuola di Luca e aspettarsi che qualche suo compagno abbia una crisi epilettica, o una crisi di pianto, o una crisi di nervi, e far finta di niente

Avere un figlio autistico vuol dire accettare il terrore del futuro

Avere un figlio autistico vuol dire avere una famiglia handicappata, nel senso che è diversa dalle altre, e insegnare a Sofia e Emma di camminare con la testa alta, con fierezza, e insegnare a chi non lo sa che Luca è semplicemente Luca, come avrebbe dovuto essere dall’inzio della moltiplicazione delle cellule

Avere un figlio autistico vuol dire avere un figlio che è solo, senza nessuno della sua età da invitare al suo compleanno, a cui telefonare, nessun amico da invitare a casa per stare insieme

Avere un figlio autistico vuol dire mantenere un’espressione normale quando la tipa della riunione ti dice che il test d’intelligenza conclude che tuo figlio è profondamente ritardato mentale

Avere un figlio autistico vuol dire non saper rispondere alla domanda: in che classe è? terza media?

Avere un figlio autistico vuol dire andare ogni anno al concerto di James Taylor e vedere Luca ballare come un pazzo, che per lui ballare vuol dire fare una specie di girotondo con la testa inclinata, e sentir dentro una tenerezza enorme e una fierezza senza limiti

Avere un figlio autistico vuol dire dover accettare quello che la società non ha ancora accettato, senza sembrare presuntuosi

Avere un figlio autistico significa andare dai parenti a Natale, e tenerlo fermo o lui apre tutti i regali sotto l’albero. Tutti

Avere un figlio autistico vuol dire saper aspettare fuori dalle sale operatorie con il New Yorker magazine, che leggi le barzellette settanta volte e non le capisci

Avere un figlio autistico vuol dire che ogni piccola cosa che si fa fuori di casa diventa monumentale: fare la spesa, portare i cani al parco. Andare a fare un viaggio è un’impresa eroica

Avere un figlio autistico vuol dire dover spiegare alla babysitter un sacco di robe strane

Avere un figlio autistico vuol dire sviluppare una pazienza che gli esseri umani non hanno naturalmente: tipo gli atleti che sviluppano in modo esagerato alcuni muscoli. Ecco, noi che abbiamo un figlio autistico abbiamo una pazienza che si può comparare ai muscoli delle gambe di Moser

Avere un figlio autistico vuol dire saper chiedere aiuto

Avere un figlio autistico vuol dire lottare con le istituzioni , che cercano sempre di fare il minimo perché pensano: in fondo cosa serve…

Avere un figlio autistico è come parlare un’altra lingua, vivere su un altro pianeta, respirare un’aria diversa. Eppure, è il viaggio più bello che si possa fare, perché ti mette di fronte ai limiti che hai quando non sei che un essere umano inserito, e ti insegna un modo diverso di stare al mondo
Sapreste farlo anche voi, se aveste un figlio autistico. Sapreste apprezzare, amare, ascoltare meglio.
Sareste delle persone migliori.

 © Marina Viola

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